Rachel Carson

Rachel Carson, la biologa che scrisse Silent Spring

Settembre, 1962. Rachel Carson pubblica Silent Spring, un libro di materia scientifica destinato per la prima volta al grande pubblico. Non un testo qualsiasi, ma una forte invettiva sull’uso incontrollato di DDT e dei fitofarmaci, che costringerà tutti a riflettere sull’atteggiamento irresponsabile dell’uomo nei confronti dell’ambiente. Inizia così una battaglia di diffamazione e intimidazione tra una minuta biologa e zoologa statunitense e l’intera industria agricola, sostenuta da una parte del governo americano.

A pochi mesi dalla sua pubblicazione, Silent Spring riesce nella più ardita delle aspirazioni, promuovere un risveglio delle coscienze, diventando pietra miliare del moderno movimento ambientalista. Nella prefazione, dedicata al vincitore del Premio Nobel per la Pace 1952, si legge «ad Albert Schweitzer che disse “L’uomo ha perduto la capacità di prevenire e prevedere. Andrà a finire che distruggerà la Terra”».

E se oggi queste battaglie ci legano tutti, al di là del parallelo in cui abitiamo, e fanno presa su di noi con l’urgenza di chi sa di non avere così tanto tempo a disposizione, nel 1962 segnano l’inizio di una rivoluzione sociale che andrà in parte a sconvolgere un’epoca ancora perdutamente innamorata dell’idea della supremazia dell’uomo sulla natura.

1960 – Il risveglio della coscienza ambientale

Negli anni Sessanta, l’America è una nazione in ascesa, industrializzata e militarizzata, che si consuma tra ricchezza e conformismo sociale, sullo sfondo della Guerra fredda che dà a ogni cosa un tocco di sospetto e di diffidenza. 

In questa cultura post-bellica, la scienza è dio, capace di alterare l’ecologia della terra attraverso la chimica, e i chimici sono investiti da una saggezza quasi divina. 

L’industria chimica, di conseguenza, diventa la principale beneficiaria e artefice delle prosperità della nazione: da un lato, infatti, vince la sua battaglia nei campi contro le malattie trasmesse dagli insetti alle piante e dall’altro porta avanti con successo i test delle bombe nucleari nel Sud Pacifico e nel Sud-Ovest americano, in una inconsapevole festa “di radionuclidi e idrocarburi clorurati”.

In questo scenario, Rachel Carson è un’outsider. Non far parte dell’establishment scientifico, – perché donna e perché la biologia è tenuta in bassa considerazione nell’era nucleare –, e non ha alcuna affiliazione accademica, né voce istituzionale. 

Quando pubblica Silent Spring, e per inciso lo fa indirizzandolo al grande pubblico e non alla comunità scientifica, è sconosciuta alla maggior parte di loro e cosa ancor più riprovevole e di cui si accorgeranno solo molto dopo, è impossibile licenziarla. 

 

Rachel Carson

Rachel Carson

 

Rachel Carson pubblica The Silent Spring sul New Yorker

Luglio ‘62. Prima di farne un libro, Rachel pubblica The Silent Spring (La Primavera Silenziosa) sul New Yorker e, allontanandosi dal tone of voice squisitamente accademico, parla a una massa indistinta dell’assordante “primavera silenziosa” che invade i campi, ormai privi dei cinguettii e del ronzio delle api, conseguenza diretta dell’uso massiccio dei pesticidi chimici. 

In poco meno di 4 mesi, l’allarme lanciato dalla Carson innesta un dibattito nazionale che va ben oltre all’uso del DDT e diventa di natura etica, ponendo l’attenzione sulla responsabilità della scienza e i limiti del progresso tecnologico. 

Il titolo del New York Times del luglio 1962 ne è esplicativo:

“La primavera silenziosa è ora un’estate rumorosa”

Sfruttando, infatti, la conoscenza del pubblico sulle ricaduta dell’atomica, la biologa riesce a descrivere efficacemente come gli idrocarburi clorurati e gli insetticidi al fosforo organico portano all’alterazione dei processi cellulari di piante, animali e, di conseguenza, del corpo umano, permeabile e, come tale, vulnerabile alle sostanze tossiche nell’ambiente.

Attraverso le sue pagine, diventa drammaticamente chiaro per tutti che i livelli di esposizione non possono essere controllati e che gli scienziati non possono prevedere con precisione gli effetti a lungo termine del bioaccumulo nelle cellule o l’impatto di una tale miscela di sostanze chimiche sulla salute umana. 

La multimilionaria industria chimica trema; tuttavia non può consentire a una scienziata, senza un dottorato di ricerca e nota solo per i suoi libri lirici sul mare, di minare la fiducia nei suoi prodotti o di metterne in dubbio l’integrità di tutta l’industria. 

Inizia così il gioco al massacro nei confronti di Rachel Carson, costato un quarto di milione di dollari, fatto di accuse di isteria, di cultura limitata all’amore per “gli uccellini e i conigli” finanche di essere solo una “triste zitella”. E più aumenta il pubblico di Silent Spring, più si cercano altri modi per screditarla, mettendo in ridicolo i suoi lavori scientifici.

Ma a questo punto della vicenda le minacce non servono a niente. La stessa autrice sta combattendo un cancro al seno che la rende immune agli sforzi di diffamarla; piuttosto gli attacchi così forti diventano presso il suo pubblico conferma stessa che quanto riportato nel libro deve essere messo a tacere in quanto vero.

E di fatto la tanto famigerata “soglia umana”, sostenuta dell’industria chimica, secondo cui il corpo umano ha una “capacità di assimilazione” da rendere i veleni innocui, comincia a traballare e a cadere rovinosamente a pezzi sotto i colpi delle testimonianze raccolte dall’autrice, che provano che alcuni tumori sono collegati all’esposizione ai pesticidi.

 

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Rachel Carson e la cultura scientifica del dopoguerra

 

Rachel Carson

Rachel Carson

 

Malgrado le minacce, gli appellativi, gli attacchi personali, la Carson sa bene che il vero nocciolo della questione è di natura filosofica più che scientifica, e ha a che fare con la cultura del dopoguerra e la sua arroganza di voler a tutti i costi il dominio sulla natura, anche se a discapito degli esseri umani. 

Così in quella rumorosa estate del ‘62 e incurante delle conseguenze, Silent Spring non ha solo il coraggio di sfidare l’industria chimica, ma sfida soprattutto il governo americano, colpevole in prima battuta di aver permesso che sostanze chimiche tossiche fossero immesse nell’ambiente prima di conoscere le conseguenze a lungo termine del loro utilizzo. 

Un governo guidato dall’ignoranza, l’avidità e la negligenza e per questo responsabile di aver acconsentito che queste “sostanze chimiche velenose e biologicamente potenti” cadessero “indiscriminatamente nelle mani di persone in gran parte o totalmente ignoranti delle loro potenzialità di danno”.

Infine, un governo cieco e sordo anche quando è il pubblico a protestare perché stanco di essere “nutrito con piccole pillole tranquillizzanti di mezza verità” da chi invece è incapace di assumersi la responsabilità o non riconosce le prove del danno. 

Rachel Carson condanna tutti i livelli e chiede di intervenire proprio a quella massa indefinita con cui ha sempre parlato attraverso i suoi libri sulla natura; chiede di non rimanere in silenzio e facendolo mette in dubbio il diritto morale di lasciare i cittadini non protetti da sostanze che non possono né evitare fisicamente né mettere in discussione pubblicamente. 

“Qualcuno può credere che sia possibile gettare una tale raffica di veleni sulla superficie della terra senza renderla inadatta a tutta la vita?” “Non dovrebbero essere chiamati ‘insetticidi’ ma ‘biocidi’”.

Più tardi, in una testimonianza davanti a una Commissione del Congresso, Carson affermerà che uno dei diritti umani fondamentali deve sicuramente essere il “diritto del cittadino di essere al sicuro nella propria casa contro l’intrusione di veleni applicati da altre persone”. 

Il DDT fu abolito solo molto tempo dopo, dopo la morte della stessa scienziata-scrittrice, ma al di là di questo, lei rimane l’espressione più alta di ciò che un individuo può fare per cambiare la direzione della società.

E allo stesso tempo, Silent Spring rimane il momento apice della storia non solo americana ma universale in cui abbiamo iniziato a parlare dell’ambiente in modo diverso. Un dibattito tutt’altro che concluso e di cui, dopo oltre cinquant’anni, stiamo affrontando ancora le conseguenze.

 

La storia che hai appena letto è una delle 12 che abbiamo raccolto nel nostro nuovo libro: Rebel Stories. Volume I. Puoi scaricarlo qui.

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