stonewall

We are everywhere!

di Fabiana Spani

“WE ARE EVERYWHERE”

Slogan dei manifestanti durante i Moti di Stonewall 1969

Notte del 27 giugno 1969. Era poco dopo l’1:20, quando la polizia irruppe allo Stonewall Inn, uno tra i pochi bar gay nel Greenwich Village, a New York. Gli scontri non erano una novità per il locale più famoso del distretto di Manhattan, ma quella sera c’era un’atmosfera diversa, più tesa ed esasperata, carica di una spinta emotiva che gridava al cambiamento e che non voleva più tacere.

Lo Stonewall Inn o meglio i moti dello Stonewall segnano il momento della nascita del movimento di liberazione gay, proprio perché, a differenza di altri episodi, diventa tangibile che in una società incapace di accettare le diversità c’è solo un modo per conquistare i propri diritti: opporsi. Ed è questo che pensava Sylvia Rivera e i tanti intervenuti in quella notte.

Ed è questo che ogni anno festeggiamo a giugno: la “giornata mondiale dell’orgoglio LGBT”, la giornata “Gay pride”, la giornata dei diritti di ognuno di noi.

Anni Sessanta: la cultura dell’epoca

Durante gli anni Sessanta, l’intento dei primi gruppi omosessuali negli Stati Uniti era stato quello di dimostrare che gli omosessuali potevano essere assimilati nella società in modo non conflittuale. 

Eppure nella cultura dell’epoca era tutt’altro che semplice. Il Manuale diagnostico e statistico dell’Associazione americana di psichiatria definiva l’omosessualità come una malattia mentale. I bar non potevano vendere alcolici ai gay e, per le strade, vigeva il cosiddetto entrapment: ovvero la pratica di adescamento da parte della polizia che aveva lo scopo di incastrare i gay e accusarli di atteggiamenti osceni. E non era finita. Le foto segnaletiche passavano direttamente ai giornali, che commensuravano le parole dell’articolo in base alla fama dell’arrestato.

Le cose iniziarono a cambiare nella seconda metà degli anni Sessanta. Nel 1965 John Lindsay, esponente del Partito Repubblicano, venne eletto sindaco di New York e Dick Leitsch divenne il nuovo presidente della Mattachine Society – una delle prime organizzazioni per i diritti degli omosessuali negli Stati Uniti d’America.

Leitsch era un militante vecchia scuola e le sue “lamentele” riuscirono inizialmente a rallentare un po’ la corda: vennero impartite alle forze di polizia nuove istruzioni affinché non adescassero i gay per spingerli a infrangere la legge. 

Nonostante tali aperture, però, negli ultimi anni del Sessanta, l’atmosfera si era fatta più incandescente. Altri gruppi politici stavano facendo sentire la propria voce come il movimento dei diritti civili e quello per la guerra del Vietnam; e queste influenze, insieme all’ambiente liberale del Greenwich Village e all’inversione di marcia di Lindsay – che voleva ripulire i bar della città per vincere di nuovo le elezioni da sindaco –, funzionarono essenzialmente da catalizzatori per i disordini di Stonewall.

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Lo Stonewall: la notte della rivolta

stonewallLo Stonewall Inn era diverso dagli altri (e pochissimi) bar gay della zona. Non era assolutamente un bel bar, i suoi proprietari erano mafiosi e non c’era nemmeno l’acqua corrente: i bagni erano sempre intasati, il puzzo era la sua caratteristica più nota e i più fortunati bevevano da bicchieri “lavati” in recipiente di acqua sporca. 

Ma al suo interno potevi trovare un melting pot eccezionale: ragazzi senzatetto e uomini di affari, dai 16 ai 30 anni, bianchi, neri, ispanici, che potevano liberamente baciarsi, muoversi, toccarsi e truccarsi da donna. Infine, sentirsi liberi.

Lo Stonewall era l’unico posto dove era permesso ballare. C’erano due piste, entrambe rivestite di nero, che potevano essere facilmente illuminate in ogni angolo, nel caso la polizia avesse fatto irruzione. E avveniva non di rado.

I suoi frequentatori erano abituati alle “retate pre-serata” e anche il personale era ormai diventato così esperto (anche se di solito era più che altro ben informato!) da riaprire il bar nella stessa notte per essere al top nelle ore di punta.

Eppure quella sera, il sesto distretto non fece alcuna soffiata e l’incursione avvenne dopo l’1:20 del 28 giugno. 

Alcuni, come lo storico David Carter, affermano che in realtà il raid era non volto a colpire i ragazzi dello Stonewall, ma i suoi  proprietari mafiosi che stavano ricattando i clienti più ricchi che lavoravano a Wall Street, riuscendo a fare più soldi dall’estorsione che dalle vendite di liquori. 

 

Ore 01:20, 28 giugno 1969: Sylvia Rivera e l’inizio della lotta

We are the Stonewall girls

We wear our hair in curls

We wear no underwear

We show our pubic hair

We wear our dungarees

Above our nelly knees!

27 giugno 1969. Quel venerdì ai tavoli di Christopher Street si piangeva la morte di Judy Garland, icona da sempre venerata dalla cultura gay. Rimase tutto tranquillo fino al mattino del 28.

Alle 01:20 la musica si spense e le luci violentemente si riaccesero. Otto ufficiali del primo distretto entrarono: nel bar c’erano circa 205 persone, per alcuni era la prima volta che assistevano a un raid della polizia. 

La confusione aumentò all’improvviso: chi correva dalla porta e chi dalle finestre del bagno. Molti riuscirono a fuggire e gli unici arrestati di fatto furono “coloro i quali furono trovati privi di documenti di identità, quelli vestiti con abiti del sesso opposto, e alcuni o tutti i dipendenti del bar”.

Si avvertì però subito che c’era qualcosa di diverso nell’aria, quasi di elettrico. 

La procedura standard consisteva nell’allineare tutte le persone, controllare l’identità e portare i clienti vestiti da donne in bagno per verificare il loro sesso: ma quella sera chi era vestito da donne si rifiutò di andare con gli ufficiali e quelli in fila di consegnare i tesserini di identificazione. 

La polizia decise di chiamare aiuto e di portare tutti i presenti alla stazione di polizia. 

Maria Ritter ricorda: “La mia più grande paura era che venissi arrestato. La mia seconda più grande paura era la mia foto pubblicata su un giornale o su un servizio televisivo vestito da mia madre!” 

A differenza delle altre volte, la folla dei rilasciati non si disperse subito ma rimase fuori in silenzio a guardare la scena. In poco tempo altri spettatori si avvicinarono – vicini, curiosi, gente che passava di lì per caso – fino a formare un gruppo dieci volte più grande delle persone arrestate. Si sentì qualcuno gridare “Potere gay” e altri cantare We Shall Overcome“.

“Everyone’s restless, angry, and high-spirited. No one has a slogan, no one even has an attitude, but something’s brewing.”

Edmund White

In questa escalation surreale e inquietante, dopo essere stata colpita più volte con un manganello, così come tutte le persone all’interno dello Stonewall, Sylvia Rivera rispose scagliando una bottiglia contro un agente.

Quel gesto, brutale ed esasperato, fu l’inizio della lotta. 

In una notte lunghissima, in cui furono picchiate e arrestate 13 persone oltre a un numero imprecisato di dimostranti. Bottiglie e pietre furono lanciate allo slogan Gay Power! e per le strade si sentiva cantare “We are the Stonewall girls/ We wear our hair in curls / We wear no underwear / We show our pubic hair / We wear our dungarees / Above our nelly knees!”

Una notte lunghissima. Fatta di contrasti, inseguimenti, grida. Non c’era un disegno in tutto questo, solo un sentimento condiviso e una folla, di 2.000 persone, contro oltre 400 poliziotti.

Alle luci del mattino, le strade erano quasi completamente sgomberate. Lo Stonewall era distrutto e molte persone erano sedute sui marciapiedi nelle vicinanze di Christopher Park, stordite da ciò che era accaduto, ma anche profondamente convinte che quella notte era accaduto qualcosa di più grande, e di più importante, di un semplice scontro con la polizia.

Commemorazione dei moti di Stonewall Inn

Al di là delle cause effettive che provocarono lo scontro allo Stonewall Inn e del gesto di Sylvia Rivera, la situazione era ormai matura per una ribellione. Con il Sessantotto e gli altri movimenti di quegli anni, nell’aria era forte l’idea che le minoranze dovessero lottare per i loro diritti e per non nascondersi più. 

Da questo punto di vista, il modello fornito dal movimento per i diritti civili influenzò molto i “primi” militanti gay, come dimostra l’uso dello slogan Gay Power che derivava direttamente dallo slogan Black Power (it. potere nero).

In un contesto del genere, con da un lato la voglia di cambiamento e dall’altro un sentimento di repressione non più giustificabile, bastava una piccola scintilla per incendiare gli animi, e questa scintilla fu la retata allo Stonewall. 

L’anno seguente, in commemorazione dei moti di Stonewall, fu organizzata una marcia dal Greenwich Village a Central Park a cui parteciparono tra i 5.000 e le 10.000 persone. 

Da allora, molte celebrazioni del gay pride in tutto il mondo scelgono il mese di giugno per le parate e gli eventi che commemorano “la caduta della forcina che si udì in tutto il mondo“.

 

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