Francesco costa il post

Informazione e Innovazione: intervista a Francesco Costa

In un mondo interconnesso, innovazione e informazione sono legate a doppio filo. Social network e tecnologie digitali costringono il giornalismo a cercare nuovi modelli di riferimento e nuove forme di business. Ma con quali conseguenze? E quali saranno le nuove sfide future dell’informazione?

Ne abbiamo discusso con Francesco Costa, vicedirettore del quotidiano online il Post ed esperto di politica statunitense.

Ascoltalo nel nostro podcast dedicato al tema dell’informazione di Chorally, che puoi trovare su Radio Activa, radio corporate online del Gruppo Activa, di cui Rebel Studio fa parte da settembre 2019.

Giornali, giornalisti e la lotta dei click

È ampiamente riconosciuto che i mezzi di comunicazione tradizionale costituiscono la fonte primaria a cui i cittadini si rivolgono per avere informazioni. Lo sapevamo già, ma ce ne siamo accorti “di nuovo” in questi ultimi giorni in cui il Coronavirus ha tenuto tutti con gli occhi incollati sulle testate giornalistiche alla disperata ricerca di breaking news.

Eppure l’informazione sembra essere in crisi a ogni livello e in quasi tutti i giornali.

Stando ai dati di ADS, Accertamenti Diffusione Stampa, il Corriere della Sera è ancora in testa alle vendite con una media giornaliera di 275 mila copie. Tanto per oggi, ma niente se paragonato al 2003, anno in cui vendeva oltre 620 mila copie. Come lui, tutti gli altri giornali hanno avuto un trend negativo, che dura da oltre 15 anni.

intervista francesco costa: crisi del giornalismoMa qual è il vero problema del giornalismo oggi? C’è chi se la prende con il numero troppo elevato di giornalisti – secondo l’Osservatorio sul Giornalismo, ne abbiamo sei ogni 10mila abitanti; chi invece con l’incapacità di quest’ultimi di portare avanti delle vere inchieste e di oscillare perennemente tra “dare la notizia per primi” e “dare la notizia solo dopo verificato scrupolosamente ogni dato”… quindi per secondi.

In questo mare nero, però, che succede? Aumentano le notizie false, “boxini morbosi” attira-click, le espressioni abusate, sperando che tutto questo porti effettivamente traffico alla propria testata. C’è anche chi trova utile usare un algoritmo che seleziona le notizie in base al profilo del lettore, come nel caso di Entire digital publishing.

Esordio nel 2017, un fatturato passato dai 170mila euro iniziali a 650mila nel 2018, produce tremila articoli mensili, conta una rete di giornalisti ai quali viene commissionato il pezzo in relazione alla tipologia della notizia: se in una normale redazione è un caporedattore a stabilire gli incarichi, qui è un algoritmo. La notizia viene prodotta dopo aver scandagliato Google News, Google Trends e vari social network.

E considerato il consolidarsi di Internet quale fonte primaria di informazione, forse non è un’idea così folle.

Certo, su un piano etico, ci si potrebbe porre la domanda se il giornale sia ancora uno strumento per educare il pubblico e se, tuttavia, sia effettivamente necessario un algoritmo per attirare la sua attenzione. Ma cosa pensa di tutto questo Francesco Costa?

Intervista a Francesco Costa, vicedirettore de Il Post

Una laurea in Scienze Politiche e una strana passione per le campagne elettorali, i film incomprensibili, gli hamburger e una ancora più strana per la Roma.

Nella sua carriera, ha scritto per l’Unità, Internazionale e IL del Sole 24 Ore. Nel 2016 ha vinto il Premio Internazionale Spotorno Nuovo Giornalismo; mentre nel 2018 il Premio della Festa della Rete per il miglior podcast italiano: ovvero, “Da Costa a Costa”, dedicato alla politica statunitense, “indipendente” nel senso di curato e realizzato con le sue sole forze, e finanziato spontaneamente da lettori e ascoltatori con più di 40.000 euro.

Questo nuovo formato, nuovo lo era soprattutto in Italia, lo ha portato a viaggiare più volte negli Stati Uniti per raccontare l’elezione di Trump – dall’Ohio alla Pennsylvania, dall’Iowa al Michigan, dal Texas alla California – e a collaborare con Rai Tre per la scrittura dei documentari “La Casa Bianca”.

Ma non è finita. Il 9 novembre 2019 su Storytel è stata pubblicata la prima puntata di The Big Seven, un nuovo podcast in sette episodi che funziona da prequel a “Da costa a Costa 2”, incentrato sui nuovi fermenti intorno all’elezione del 3 novembre 2020.

“Questa è l’America”, Instagram e molto altro: Francesco Costa

Partendo appunto dall’America, dove hai seguito la prima elezione di Obama e dove è nata la nostra storia imprenditoriale – anche noi nel 2008 abbiamo iniziato ad occuparci di social media, utilizzando una piattaforma che negli Stati Uniti era abbastanza innovativa, Crimson Hexagon –, come hai visto modificare la relazione dei media tradizionali e online rispetto ai social?

«La prima elezione di Obama, nel 2008, è stata quella in cui i social network hanno avuto un ruolo. Un ruolo ancora piccolo perché Facebook e Twitter erano nati da poco. Quindi erano diffusi ma non così tanto e infatti Obama li usava per mobilitare gli attivisti e i volontari della campagna elettorale, per diffondere i contenuti del programma elettorale e anche per raccogliere i fondi.

Queste potenzialità sono emerse durante il 2012, in quelle che sono state considerate le “vere” elezioni dei Social Media, non solo per il partito democratico ma anche per quello repubblicano. Attraverso i Social hanno ottenuto un nuovo spazio, una nuova centralità, non solo nel coordinare gli attivisti, nel far girare il messaggio del candidato ma anche per condizionare e dettare l’agenda mediatica alla stampa tradizionale. Nel 2016 è stato fatto ancora un passo avanti (pensiamo al ruolo del profilo twitter di Trump), e i social hanno condizionato la campagna con le fake news. Da quel momento in poi si è capito che è necessario avere un approccio serio all’analisi e alla produzione dei contenuti sui social network.»

Notizie false, “boxini morbosi” attira-click, espressioni abusate: è la crisi dei giornali o la crisi del giornalismo?

«Si accusa molto il web e i social di produrre notizie false; in realtà è una descrizione imprecisa… È chiaro che i social media hanno un potere di circolazione virale di qualsiasi contenuto incredibile; ma il problema delle fake news (problema che c’è sempre stato anche se non di queste dimensioni) riguarda in primo luogo i giornalisti e la stampa tradizionale. Anche se ci sono, se ci saranno soggetti, associazioni, malintenzionati che diffonderanno notizie online false allo scopo di favorire questo o quel partito, anche solo per divertimento, c’è purtroppo una parte di informazioni false o inaffidabili, inaccurate o non verificate che provengono dalla stampa tradizionale, quella ufficiale, che sta perdendo molta autorevolezza negli ultimi anni.

Esistono due modelli di business in crisi: i giornali, che non vendono più (e la pubblicità non rende più come prima) e i giornalisti (intendo una crisi professionale) che non verificano più la notizia dando priorità alla velocità di pubblicazione più che alla qualità dell’informazione. Queste due crisi si sono intrecciate tra loro e hanno prodotto il contesto attuale, molto orientato alla lotta al click per acchiappare l’attenzione dei lettori.

Si arriva quindi a produrre i famosi boxini in cui troviamo qualsiasi cosa e niente di giornalistico, ad esempio il cane che abbaia a ritmo di musica, le foto delle vip in costume.»

Le piattaforme di contenuto competono con i giornali? Chi sono oggi i competitor de “Il Post”?

«I nostri competitor non sono gli altri giornali online, come si potrebbe ingenuamente pensare. Il 70% dei nostri lettori ci legge dallo smartphone. E quindi noi competiamo con le altre app del telefonino, le piattaforme social, le app di giochi, musica, serie tv ecc. Una concorrenza molto più ampia e forte.»

Una delle cose che viene sempre citata quando si parla de “Il Post” è l’utilizzo di Instagram da parte del vostro giornale: raccontare una notizia con una fotografia. Come gestite questa piattaforma?

«Rispetto al passato in cui erano le persone a venire da te, “al giornale”, comprandolo, oggi deve essere il giornale ad andare dalle persone e quindi deve essere presente dove sono le persone, quindi sui social. Essere presente su Facebook, Twitter o Instagram è importante perché il pubblico sta lì. Il nostro obiettivo è non solo offrire notizie ma anche informazioni in più per capire quello che ci circonda.

Naturalmente se sei su Instagram devi mettere al centro l’immagine, le fotografie di qualità su cui puntiamo molto (anche con costi). La foto è il nostro gancio per portare poi il lettore ad andare oltre l’immagine. E informarsi.»

Il tuo libro, “Questa è l’America”, inizia con «Ci sono molti posti del mondo di cui sappiamo meno che degli Stati Uniti d’America, ma non ci sono posti con un divario più ampio degli Stati Uniti tra quello che crediamo di sapere e quello che sappiamo effettivamente». Perché hai voluto raccontare questa America?

«Ci sono molti posti che conosciamo meno degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono molto influenti nella nostra cultura, nei nostri costumi, nella nostra economia; però ci sono pochi posti, come loro, ad avere un divario così grande tra “quello che pensiamo di sapere e quello che è la realtà di questo paese”. L’America è molto grande, molto frastagliata, dal punto di vista geografico ma anche culturale. Noi quando “andiamo negli States” andiamo in realtà in due o tre città, andiamo a vedere qualche parco, al massimo facciamo la Round 66, se vogliamo fare un viaggio on the road, ma anche quella è diversa dall’America in cui vive la maggioranza degli americani. E anche questa America ha le sue storie.

Storie che proprio a causa di questo divario non possiamo comprendere: ad esempio, il loro rapporto con le armi, con la sanità, con le tasse… eleggono Trump quando 4 anni prima avevano eletto Obama per la seconda volta. Semplicemente queste cose non riusciamo a comprenderle e allora ricorriamo a luoghi comuni, a delle semplificazioni, o le leggiamo in base al nostro “tipo” politico se questo ci rende più felici.

Il tentativo di questo libro è di andare oltre i luoghi comuni , oltre a queste semplificazioni, sulla base dei viaggi che ho fatto, dello studio, delle letture in posti non battuti dai turisti. Cerco di raccontare quello che ho capito dell’America e del perché l’America attraversa un momento peculiare nella sua storia in questi anni.

L’America è un universo ed è vero quando affermi che quello che arriva è mediato e filtrato. Ancora più importante diventa, allora, cercare di comprendere questi fenomeni, perché ciò che succede negli Stati Uniti ha un impatto sul resto del mondo…

Pensiamo ai dispositivi tecnologici che abbiamo sulla nostra scrivania, in tasca, molti sono stati progettati negli Stati Uniti. I motori di ricerca, i social media, il sito di e-commerce più diffuso al mondo sono americani. E poi quante volte ci è capitato di vedere un film o una serie tv e pensare che ci abbiano fatto cambiare idea su qualcosa e la maggior parte delle serie tv sono prodotte e scritte negli Stati Uniti; …senza contare l’economia, gli abitudini di consumo, le mode che partono dall’America e che arrivano da noi, anche in modo inconsapevole. E poi la politica, gli slogan dei nostri politici sono spesso ripresi da quelli americani. Il ruolo e la guerra commerciale di Trump, l’impegno sulla Libia, le missioni militari, insomma l’America entra nelle nostre vite in tantissimi modi.

Dal punto di vista giornalistico, anche in questo caso è l’America che guida? I grandi gruppi editoriali come le stanno affrontando queste innovazioni? E in ottica italiana, le stiamo seguendo o stiamo prendendo altre strade?

Loro hanno due vantaggi: il primo che hanno alcune testate di grandissima qualità. Questo non significa che non sbaglino mai, ma quando rivendicano il primato del giornalismo, l’importanza del giornalismo lo fanno da un pulpito che è più credibile di molte nostre testate. E poi hanno un grande mercato e scrivono in una lingua parlata in ogni angolo del mondo. Questo ti permette di avere, come modelli di business, delle carte che noi – in Europa e in Italia – non abbiamo.

…Continua ad ascoltare l’intervista a Francesco Costa.